Capita frequentemente che i genitori si trovino in difficoltà con i propri figli e ci riferiscano di non sapere come fare a contenerli, facendo in modo che i bambini smettano di fare i capricci: pianti irrefrenabili, urla, comportamenti oppositivi, provocazioni, sfide e talvolta comportamenti autolesivi.

Queste condotte mettono a dura prova i genitori che vivono una gamma di emozioni che comprende la rabbia, il senso di colpa, la frustrazione, la paura di essere inadeguati ecc.

 

Chi ha vissuto con i bambini, sa bene che sgridare, urlare, minacciare, ricattare, incutere paura può avere un effetto nell’immediato, ma che a lungo termine non solo tende a perpetrare una modalità conflittuale, ma può inasprire il rapporto e aumentare la sofferenza del figlio e dei genitori.
Cosa si può fare, allora?

Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano.” (Antoine De Saint-Exupéry)

 

Proviamo a fare uno sforzo e ricordarci com’era essere bambini o, se non ce la facciamo, mettiamoci per un attimo nei panni di un piccolo: noi grandi siamo abituati a ciò che ci circonda; le novità, gli imprevisti e ciò che non conosciamo sono sporadici nell’arco di una giornata, ma per un bambino (specie se piccolo) non è così.

 

Il mondo è una scoperta continua, un ambiente pieno di cose sconosciute e misteriose e se pensando a ciò, noi adulti esclameremmo: “che bello!”, un bambino, se potesse, direbbe: “che ansia!”. Per lui è tutto nuovo, poco anticipabile, non riconosciuto né riconoscibile.

 

Ogni giorno il bambino deve immagazzinare la maggior quantità di informazioni possibile per poter sopravvivere in un luogo imprevedibile. E gli unici alleati di cui fidarsi sono i genitori, da cui dipende in tutto e per tutto, almeno fino ai primi anni di vita.

 

Bambini e capricci: cosa fare?

 

Ma c’è un’altra cosa che differenzia il bambino piccolo dall’adulto: l’uso del linguaggio. Un adulto se ha un problema ne parla (taluni lo fanno) con il partner, gli amici, i parenti, lo psicologo; sa, più o meno, cosa dire, può immaginare quali siano le parole giuste affinché l’altro capisca, ha una teoria della mente altrui, può rivolgersi a un’altra persona se la prima non capisce. Ma un bambino? Come può dire un piccolo: “mamma sono preoccupato perché questa persona nuova, non so se mi farà del male”, oppure come può far capire: “ho un malessere che forse è fame e non so quando finirà” o ancora comunicare: “non mi abbandonare mamma, sennò non sopravvivrò!”?

 

Insomma, la vita del bambino è meno rosea di quel che non si creda…e non lo può nemmeno dire! L’unico modo che ha per esprimersi è il suo linguaggio: il pianto.

 

Il pianto: è davvero sempre un capriccio?

Spesso i genitori imparano a riconoscere i diversi tipi di pianto del proprio bimbo: pianto da fame, da coliche, da stanchezza ecc. Tutto questo è molto utile, perché si inizia a instaurare un legame di comprensione e condivisione che dà sicurezza al piccolo che si sente accolto.

 

Quanto scritto finora è un modo per ampliare la comprensione dei nostri figli e per domandarci se ciò che noi chiamiamo capricci non siano qualcosa di diverso per il bambino. Quando un adulto definisce bizze i comportamenti di un bambino, fa un’operazione arbitraria in cui si pone in un’ottica adulta che non necessariamente è l’unica possibile.

 

Se ci ponessimo da un’altra prospettiva come ci apparirebbero quei comportamenti? È possibile che nostro figlio quando si arrabbia, urla e ci sfida rifiutando le verdure stia dicendo qualcosa di diverso che noi non comprendiamo? D’altra parte, provate a pensare come sarebbe difficile avere dentro di sé una sensazione non molto chiara neanche a voi stessi e inoltre non avere i mezzi per poterla esprimere; e da questo dipendesse la vostra serenità o il senso di comprensione di cui abbiamo bisogno. Che rabbia, che fastidio!

Le verdure, forse, non sono solo verdure, ma un modo per esprimere altro.

 

Bambino che mangia la verdura

 

Se noi troviamo la maniera per fargliele mangiare a forza, il bambino avrà sì più vitamine, ma anche tanta rabbia e tristezza e senso di solitudine. E se, invece, provassimo a domandarci/domandargli il significato di ciò che fa?

Cosa ci sta dicendo nostro figlio con quel comportamento?

Il rifiutare una richiesta che noi non capiamo porterà davvero a una maggiore serenità familiare?

 

Sia chiaro, anche i genitori (diversamente da come desidera il bambino) sono degli esseri umani che provano frustrazione, stanchezza, rabbia ecc. Quindi, cosa possono fare?

 

Perché è importante mettersi nei panni dei propri figli

Un suggerimento che spesso risulta utile è quello accennato sopra, provate a mettervi nei panni di vostro figlio: forse ciò che sta dicendo non è: “non sei un buon genitore” o “ti manco di rispetto, devi fare ciò che io ti impongo”. Probabilmente sta dicendo: “sto male, occupati di me, per favore”, ma non sapendo come dirlo lo agisce in modo eclatante e rabbioso.
Ricordiamoci, come ci dice Piaget, che fino ai 7 anni per un bambino è difficile riuscire a comprendere il vissuto dell’altro e non perché sia una persona egoista, ma perché lo sviluppo cognitivo ancora non lo consente.

 

Se un bambino non vuole mettersi una certa maglietta e ne preferisce un’altra, probabilmente non sta dicendo: “tu mamma non capisci niente di moda”, ma magari sta sperimentando una forma di libertà e chiede a voi di parteciparne dandogli l’appoggio.

 

  • Quanti dei no che diciamo ai nostri figli sono veramente legati al prendersi cura di lui piuttosto che voler rimarcare la nostra autorità e il nostro ruolo?
  • Quante volte se nostro figlio piange o si arrabbia il nostro intento è quello di farlo smettere anziché chiedergli cosa abbia e legittimare ciò che prova?

 

Provate a pensare se arrivasse qualcuno che vi impone come vestirvi e quando vi arrabbiate vi dicesse di smetterla di frignare e di fare il bambino viziato!

 

Ma allora bisogna sempre dire di sì?

NO! Tutt’altro. I no fanno bene. I no possono aiutare in quello che, nelle teorie di alcuni psicologi e filosofi (tra cui noi), rischia di essere fonte di grandi disagi, ossia lasciare che la persona identifichi il desiderio con il bisogno.

 

Quando un bambino ha sonno/fame/voglia di vicinanza col genitore sta mostrando un bisogno; quando vuole un gioco nuovo sta mostrando un desiderio. I primi sono poco negoziabili specie in età precoce, i secondi possono essere discussi maggiormente.

 

Entrambi sono legittimi. Utilizzo e sottolineo il termine “legittimo” perché non venga confuso con “giusto”. Il bambino ha diritto a desiderare tanta cioccolata, non necessariamente va accolta la richiesta. Allora può essere utile che il genitore abbia presente questa distinzione; magari rispondendogli che capisce il desiderio, ma che ci sono altri motivi per cui è preferibile che non mangi la cioccolata.

 

Inoltre è utile tenere a mente che spesso le richieste hanno un duplice valore: uno di contenuto e uno di relazione. Chiedere la cioccolata può significare: “ho voglia di mangiare qualcosa di dolce”, ma al tempo stesso potrebbe significare: “vorrei che ti occupassi di me”. Al primo significato possiamo rispondere di no, ma forse può essere utile rispondere di sì al secondo (magari scegliendo assieme qualcosa che gli piacerebbe mangiare).

 

Bambini che saltano sul letto

 

 

Anche i grandi sbagliano

Infine uno spunto: i genitori sono essere umani, fanno, quindi, errori e non sono perennemente disponibili e pazienti.
Questo può sembrare un difetto, ma leggendolo in un’ottica alternativa può essere una risorsa: far capire ai figli che anche i grandi sbagliano, sono distratti e perdono la pazienza, può aiutare i piccoli a non sentirsi in colpa se qualcosa va storto o se il genitore urla e si arrabbia; può rendere legittimi quei sentimenti di rabbia che anche i figli provano, può favorire il vedere le cose dagli occhi dell’altro.

 

Proviamo a raccontare ai figli che ci dispiace di esserci arrabbiati, che siamo stanchi e quindi non ce la facciamo a leggere la favola, che siamo noi ad essere preoccupati se va in bicicletta senza casco e non è lui che è un incapace.

 

Vediamo che succede.